Padre e figlia con la stessa patologia genetica, operati entrambi all’Ospedale del Cuore di Massa, dallo stesso medico, nella stessa settimana.

È la storia di Bruno e Alessia, tortuosa, a tratti tragica, ma dal lieto fine, entrambi affetti dalla Sindrome di Marfan, una patologia genetica – appunto. Anni costellati da spostamenti, controlli, monitoraggi, e poi l’arrivo a Massa, l’incontro con il Dottor Marco Solinas: 6 ore in sala operatoria, la sostituzione della valvola fin quasi all’arco aortico, la ricostruzione della radice aortica. E poi un nuovo battito, questa volta regolare, ed una nuova vita.

«La scoperta è stata drammatica – racconta Alessia. All’epoca (avevo 24 anni) facevo sport: proprio in occasione di una visita medico sportiva per ottenere l’idoneità all’agonismo, il Medico ha notato che le dimensioni del diametro della mia aorta erano aumentate. E poi la doccia fredda: si trattava della Sindrome di Marfan».

Una patologia rara, le cui cause dovevano essere ricercate nella genetica: da qui i continui controlli, le analisi e gli esami anche sui genitori.

«Nel 2012 – continua Alessia – siamo giunti all’Ospedale del Cuore, per far indagare il Dottor Dante Chiappino, Direttore dell’Unità Operativa Diagnostica per Immagini: la possibilità di giocare, ma soprattutto la gravità della situazione, dipendevano da pochi millimetri, cruciali, del diametro della radice dell’aorta. Elemento fondamentale, da cui deriva grande difficoltà nella angio tc, sta nell’occhio clinico del Medico Radiologo, nella sua sensibilità: ci siamo mossi per il migliore».

Il resto è cronaca ospedaliera.

L’incontro con il Dottor Marco Solinas, la programmazione dell’intervento per il padre, l’attesa per la figlia – almeno inizialmente.

Mesi dopo, il ricovero – come da programma – di Bruno, e – contemporaneamente – una svolta per Alessia: la situazione era improvvisamente peggiorata.

All’insaputa di Bruno, il giorno stesso della sua operazione al cuore, Alessia viene ricoverata, e poi operata. Grazie al coinvolgimento dell’intero reparto e alla cooperazione di ogni operatore sanitario, il padre non ha mai saputo del ricovero e dell’intervento della figlia: «psicologicamente, oltre che fisicamente, sarebbe stato davvero troppo per lui», commenta la figlia, guardando il padre teneramente.

«La prima volta che ho rivisto Alessia dopo la mia operazione (e la sua, come ho scoperto poi) – racconta Bruno – l’ho guardata negli occhi e ho capito: avevamo passato e vissuto la stessa esperienza. Mi sono messo a piangere, realizzando quanto avesse sopportato da sola.

Ripensando ai giorni in Ospedale, mi sono sentito come a casa – commenta. Da quando sono entrato, ho trovato persone cortesi, professionali e professioniste: sono stato davvero bene».

«Aver operato il padre la mattina, e poi aver dato nel pomeriggio un’indicazione di urgenza alla figlia – spiega il Dottor Marco Solinas, Direttore dell’Unità Operativa Cardiochirurgia dell’Adulto – è una cosa inusuale e che fa riflettere: in pochi giorni, addirittura in poche ore, ti trovi a dover gestire quasi il futuro di un’intera famiglia.

Alessia era al tempo stesso figlia, moglie e madre: mi sono sentito addosso una grande responsabilità».

Avere una Sindrome comporta l’essere affetti da diverse patologie, insieme e combinate, nel caso specifico trasmesse per via genetica (dal padre alla figlia): la mancata produzione di tessuto connettivo di buona qualità, che – a sua volta – determina grande altezza fisica e aracnodattilia (braccia e dita lunghe, tutti lassi, e facilità di slogature). Ancora, problemi delle valvole, possibilità di aneurismi della radice aortica e dell’aorta ascendente. L’intervento, denominato di Bentall De Bono, prevede la sostituzione della valvola, della radice, dell’aorta ascendente e il loro riposizionamento.

«Per tutta la vita ho convissuto con lo spauracchio dell’operazione al cuore – racconta Alessia. La notizia è stata drammatica, difficile da accettare e ancora di più da gestire in poco tempo. Mi è piaciuta la professionalità di Solinas, che è stata diretta e umana al tempo stesso: riesce ad arrivare alle persone, indaga sui sentimenti personali. Per la prima volta nella mia storia clinica mi sono sentita fortunata, in una situazione sfortunata: quest’uomo mi ha salvato la vita, e lo ha fatto con professionalità, garbo, delicatezza e profonda umanità.

Vivo a cuore leggero, mentre prima passavo le mie giornate ad ascoltare il mio battito, per cercare di captare ogni minimo cambiamento del ritmo, con la paura: avrei potuto addormentarmi e non svegliarmi mai più. “Mamma, che confusione che fa questo tuo cuore sotto al graffio”, dice la mia bambina. È vero, il mio cuore fa molto rumore quando batte, ma è un rumore che ricorda la vita».


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